Flussi di coscienza

Quello che mi piace del mio blog è che funziona come un albero di ciliegie, una tira l’altra. La ciliegia dell’altro giorno è stato un post, programmato un attimo prima di scriverlo e pubblicarlo, dove invitavo a non accettare l’idea che tutto sia  già stato scritto, per esempio sull’amore. Pochi giorni dopo mi arriva una mail da chi vuole restare anonimo, che calamitato dall’argomento, racconta un suo episodio personale che per qualcuno risulta essere trito, per altri è un cliché, ma c’è anche chi dice no, insomma idee divergenti che si intrecciano. La mail poi è stata scritta senza punteggiatura, forse per simulare un flusso di coscienza, ma forse non era questo l’intento. Ora, a qualcuno questo pseudo-flusso piace, ad altri piace meno. Qualcuno osserva che togliere la punteggiatura non è necessario per creare un flusso di coscienza, si poteva ottenere di meglio «copiando» per esempio la scrittura di Cartongesso, un romanzo narrato interamente con la tecnica del flusso mentale. Altra ciliegia: la discussione si sposta allora dall’amore all’uso del flusso di coscienza: nulla di programmato.

Quindi oggi parliamo del flusso di coscienza, tema su cui non ho mai riflettuto sul blog ma nemmeno al di fuori, e ne parliamo proprio perché qualcuno che legge questo blog ha sollevato l’argomento nei commenti. Partendo dall’amore siamo giunti così, senza seguire nessuna programmazione trimestrale, mensile, settimanale, targhe pari e targhe dispari, al flusso di coscienza in base al solo stimolo dei commenti al post. Cari blogger, anziché dannarvi per essere seguiti siate voi a seguire i vostri lettori, drizzate le antenne e andate dietro ai commenti, perché spesso sono più stimolanti quelli dei vostri stessi post.

Ma lasciamo perdere le antenne del blogger e torniamo al flusso di coscienza.

Dunque, Cartongesso. Segnalato da Michele Scarparo come ottimo esempio per capire come servirsene, mi sono incuriosito e mi sono precipitato nelle recensioni che ha ricevuto il libro su Amazon. Come mi aspettato sono discordanti: c’è chi parla di genialità, e chi invece rivuole indietro i soldi. Direi che a questo punto è meglio leggersi qualche riga di incipit – ne bastano poche – per decidere in cuor proprio se questo benedetto flusso di coscienza può piacere o no.

L’avete letto? Bene, proseguiamo.

Riprendiamo adesso l’anonimo di ieri, che a quanto dice non era così consapevole di aver prodotto questa tecnica di scrittura. In questo modo possiamo confrontare i due testi, e decidere quello che più ci piace. Uno segue la punteggiatura, l’altro l’ha eliminata. Si possono definire entrambi flussi di coscienza? Michele giustamente osserva che la lettura del secondo brano, quello del post, pone delle difficoltà di comprensione, che invece nel primo non esistono. Quindi conta anche la leggibilità di quanto è scritto: se il cervello «scoperchiato», grazie a questa tecnica, riesce a trasferire i suoi pensieri nella mente del lettore come un testo più tradizionale. Vorrei quindi chiedervi di dare un giudizio sulle due forme di scrittura – una professionale e l’altra spontanea – in base a come affronteremmo la scrittura in rapporto anche all’efficacia della comunicazione e non solo alla bellezza estetica del linguaggio.

Calma e gesso. Tanto che ci siamo cerchiamo di ampliare il discorso. Sull’onda dei primi due testi ho iniziato a cercarne altri, per avere un confronto, un termine di paragone, o meglio un’unità di misura. E quale testo potevo spulciare se non il padre di tutti i flussi di coscienza, cioè l’Ulisse di Joyce?

L’Ulisse, con mio gran stupore, non inizia con un flusso di coscienza: no, no. Inizia come il più tradizionale dei romanzi. Non avendolo letto, ipotizzo che la sua famosa tecnica del cranio scoperchiato copra alcune parti del romanzo, ma non la sua totalità. Diciamo che Joyce la utilizza quando ne ha bisogno. E allora vi riporto di seguito un passaggio dove il flusso di pensiero è presente, in modo da poter meglio giudicare gli altri due testi anche in base a quello che vi comunica quest’ultimo.

 

«Mr Bloom camminava inosservato per un vialetto lungo file di angeli rattristati, croci, colonne spezzate, tombe di famiglia, speranze di pietra che pregavano con gli occhi al cielo, cuore e mani della vecchia Irlanda. Più sensato spendere i soldi in qualche opera di carità per i vivi. Pregate per la pace dell’anima di. C’è qualcuno che veramente? Piantala e falla finita con lui. Scaricato. Come il carbone giù per una botola di cantina. Poi lo ammucchiano insieme per guadagnar tempo. Il giorno dei morti. Il ventisette sarà alla sua tomba. Dieci scellini per il giardiniere. Le tiene sgombre dalle erbacce. Vecchio anche lui. Piegato in due con le cesoie, a tagliare. Vicino alla porta della morte. Che si è spento. Che si è dipartito dalla vita. Come se l’avessero fatto di loro volontà. Buttati fuori, tutti quanti. Che ha tirato le cuoia. Più interessante se vi dicessero chi erano. Il tal dei tali, carrozziere. Io rappresentante di linoleum. Io ho concordato con i creditori cinque scellini a sterlina. Oppure una donna con la casseruola. Io faccio un ottimo stufato irlandese. Elegia di un cimitero di campagna dovrebbe chiamarsi quella poesia di chi è Wordsworth o Thomas Campbell. Entrato nel riposo dicono i protestanti. La tomba del vecchio Murren. Il grande medico lo ha chiamato nella sua casa di cura. Be’ questa per loro è la sua terna consacrata. Bella residenza di campagna. Intonacata e ridipinta a nuovo. Luogo ideale per farne una fumatina e leggere il Church Times. Gli annunci matrimoniali non cercano mai di abbellire. Corona rugginosa appesa ai ganci, ghirlande bronzate. Miglior valore allo stesso prezzo. Però, i fiori sono più poetici. L’altro finisce per diventare noioso, non appassendo mai. Non esprime nulla. Immortalles».

 

Spero di aver trascritto il brano esattamente, ma se anche avessi dimenticato qualcosa, saltato una riga, storpiato un sostantivo, riuscireste a rendervene conto? Perché, potete dire quello che volete, ma questo flusso di coscienza è duro, molto distante sia dal primo sia dal secondo brano. Anzi, a mio parere getta una luce diversa su entrambi, perché il secondo mi pare avere più parentele con Joyce di quanto faccia Cartongesso.

E per concludere questa panoramica vi segnalo altri tre esempi di romanzi della letteratura italiana interamente basati su un flusso di coscienza, o di pensiero, con modalità più simili al primo brano che non a Joyce: Il male oscuro di Berto, Uno nessuno e centomila di Pirandello, Manuale pratico di giornalismo disinformato, di cui vi invito a leggere qui e qui e qui qualche riga, ne bastano poche per capire il meccanismo, per aggiungere altri elementi di giudizio articolato sulle possibilità espressive di un flusso di coscienza.

Mi rendo conto, infine, che la lunghezza di questo post e le relative deviazioni ipertestuali lo stiano rendendo improponibile. Ci sarebbe anche un altro genere di flusso, questo mio, basato sulle immagini più che sulla coscienza. Vi chiedo, per come è reso, se anche quest’ultimo abbia qualcosa in comune con l’argomento di cui stiamo parlando.

Si attendono con fiducia giudizi, opinioni, punti di vista, osservazioni personali sia in qualità di lettori sia, soprattutto, di scrittori che hanno usato/usano/useranno il flusso di coscienza per le proprie storie. Grazie.

 

17 commenti

Archiviato in Trame e personaggi

17 risposte a “Flussi di coscienza

  1. Michele Scarparo

    All’appello manca solo il Finnegans. Ma è intraducibile (anche se qualcuno ci prova comunque) e lo lasciamo da parte.
    Della serie: si fa presto a dire “flusso di coscienza”. Io non l’ho mai usato; cioè: a volte l’ho fatto ma poi, durante une delle innumerevoli revisioni del testo, l’ho sempre tolto a favore di uno stile “normale”. Il problema è che è troppo facile produrne un surrogato più o meno illeggibile e troppo difficile produrne uno di livello accettabile e, per farlo, è necessario essere una penna di livello non comune. Infatti i nomi che anche tu fai sono Pirandello, Berto, Joyce… mica calibri qualsiasi.

    • Si viaggia sui due estremi. Quando ne leggi uno hai voglia di scrivere così perché diventa semplice riprodurre quel ritmo. Poi ti accorgi che è manieristico, inizi ad annoiarti tu stesso e finisci per optare per una prosa normale, che ha altre difficoltà ma stranamente può risultare più imprevedibile del monologo che alla fine si ripete sempre in un solo modo per tutta l’opera. O sei un genio con trovate inarrivabile e imprevedibili, oppure finisci nel cliché.

  2. Michele Scarparo

    Dimenticavo: ma, a te, Cartongesso piace? 🙂

    • Volevo sentire il vostro parere, il tuo soprattutto. Vabbè, parlo io per primo: lo stile di Cartongesso non mi attira, non mi pare un flusso di coscienza. Ha più del monologo, ma non interiore, anzi esteriore. Me lo immagino declamato a un pubblico da un attore teatrale. L’uso degli incisi, per esempio, fin dalla prima riga non si adatta al flusso di coscienza, ma si trasforma – bada che è il mio parere superficiale – in una dissertazione continua, molto razionale e pensata per punti. C’è un prima e un dopo, non vedo invece il salto logico, anzi illogico, l’associazione di idee tipica della coscienza che invece è la scelta estrema di Joyce, che risulta incomprensibile. Quindi Joyce è un flusso di coscienza, che però non può essere esteso a tutta un’opera; Cartongesso lo leggi con comodità relativa dall’inizio alla fine. Perché è scritto in prosa, come se il pensiero scrivesse.

      Ho fatto delle prove: leggere a velocità diverse i brani. Lettura normale (quella che di solito applico a un testo semplice e lineare) – Cartongesso, Pirandello, Nori, in parte Berto li leggo senza problemi, cioè seguo alla pari il loro flusso di narrazione. Joyce no, se vado a velocità normale mi perdo subito. Qui si procede per frasi che sono a volte legate, ma altre saltano completamente da un tema a un altro per associazione di idee. Anche il brano dell’anonimo, se letto normalmente, mi fa uscire dai binari, devo tornare indietro altrimenti non so più dove finisce la frase e inizia quella successiva. In Joyce la punteggiatura è dura, tutto punti e frasi slegate. Cartongesso e Pirandello invece fanno ampio uso di virgole. Facile seguire, e non vorrei esagerare anche da riprodurre. Anche il commento di Marina, che ironizza, gioca con la stessa abilità in piccolo di Cartongesso. Alla lunga però un romanzo simile mi annoia, diventa monologo uniforme. Meglio Joyce che esce ed entra nel flusso quando lo ritiene espressivo. Il limite del flusso di coscienza, a mio avviso, sta nella brevità. Se occupa tutto il libro non è un vero flusso, perché risulterebbe illeggibile, ma altre variabili: monologo, oralità, io narrante. Svevo per esempio usa l’io narrante, ma lo usa in forma scritta. Cartongesso è una forma scritta resa orale, anche Nori. Questo è il suo pregio e forse il suo limite. Nori però parla, lo si capisce. L’altro finge di pensare, ma parla anch’esso. Discutibile la scelta di usare i numeri tra parentesi. Siamo in cinque (5) che discuteremo questo argomento? La mia mente non immagina il numero 5 (cinque) mentre parla. E anche l’uso del corsivo, rappresenta una sottolineatura? un alzarsi di tono del pensiero? O della voce?
      Ne ho dette di cose: un monologo in piena regola.

      • Michele Scarparo

        Cartongesso ha il pregio, per chi conosce il profondo nordest, di essere un flusso quasi cinematografico: li leggi e te li vedi davanti perché sono proprio così. Con la faccia rubizza di qualche ombra di troppo mentre con le dita ti fanno il gesto di quei tre (3) mila euro che hanno pagato un macchinario per fare le cose a mano. Comunque è vero: Joyce è interiore e Nori e gli altri sono teatrali e cinematografici.
        Rimane il fatto che scrivere così è difficile e, anche quando uno è (molto) bravo, una buona fetta di lettori rimarrà indietro.

  3. Ciao, ti seguo e prendo spunti per migliorare il mio modo di scrivere, senza commentare quasi mai, ma sento il bisogno di ringraziarti. Oggi mi sono segnata i libri che hai segnalato, quindi grazie! 🙂

    • Giorgiana! Da quanto tempo vedo la tua immagine nei vari like che metti ai post… facevi parti di quelli che mi seguono senza commentare, ma ora no, ormai non puoi tornare indietro, te tocca d’aiutarce… 🙂

  4. A dire il vero, non mi attira nessuno degli esempi fatti, a me il flusso di coscienza, lo ripeto, distrae; mi allontana dalla storia, non mi fa venire la voglia di capire dove vadano a finire questi pensieri sconnessi e senza logica apparente.
    In realtà, il brano dell’anonimo non è, a mio avviso, un vero e proprio flusso di coscienza per come dovrebbe essere inteso, è solo un racconto concitato privo di segni di interpunzione. Allora lo è di più (facendo un paragone fra “non scrittori professionisti”) la tua associazione per immagini.
    Per me il flusso di coscienza d.o.c. è quello di Joyce, incomprensibile ma articolato nelle duemila pagine di libro in modo da non essere totalizzante. Cartongesso non lo leggerei, pesantissimo: lette le prime righe non ho retto. (perché i numeri scritti tra parentesi?) Non so, mi ha dato l’idea di un rubinetto aperto e basta.
    È curioso: io ne facevo largo uso quando scrivevo nei miei diari personali: non organizzavo le frasi e venivano fuori costruzioni che avevano una logica solo nella mia testa. Magari avrei potuto sfruttare alcune di quelle pagine per tentare la fortuna! Ma è un genere che ne avrebbe, di fortuna?

  5. Simona C.

    Che siano tutti flussi è chiaro, e anche che scorrano diversamente per varie scelte di tema (quello dell’anonimo, per esempio, mi è parso facile da seguire per la semplicità della storia), di linguaggio, di punteggiatura e così via. La questione, secondo me, sta nella coscienza.
    Io immagino, perché non lo so e perché non sono un’esperta, un flusso di coscienza come la catena di pensieri e sensazioni di un narratore assorto che non si cura del lettore e un lettore che si lascia trasportare (l’autore invece deve essere ben presente e concentrato perché il trucco riesca), perciò mi pare che solo Joyce risponda a questo mio requisito immaginario. Gli altri testi si rivolgono a qualcuno (l’anonimo direttamente alla donna e poi a Helgaldo), è vero che parlano, recitano, mentre la coscienza di Joyce parla a se stessa, o meglio, è scritta in modo che sembri parlare a se stessa.
    Si legge lentamente, ha ragione Helgaldo, per la difficoltà nel seguirne o intuirne la logica, ma anche perché bisogna scendere un po’ nel profondo di ogni passaggio per apprezzarlo. Credo che un flusso di coscienza chieda al lettore questo sforzo, ma poi di fermarsi al piano del pensiero/sensazione, senza toccare il fondo freddo del significato letterale perché sarebbe spezzare il filo, come quando fissi il vuoto e te ne vai per il tuo flusso di coscienza e un intruso ti tocca la spalla per domandarti a cosa stai pensando.
    È difficile scrivere in quel modo, soprattutto sulla lunga distanza di un romanzo, perché basta poco per cadere nel parlato, non che sia un errore, solo che è un’altra cosa. Io non potrei, ho un disturbo della concentrazione che mi sta ancora facendo pensare al lampadario che cade e alla cameriera che ripulirà la stanza di quel motel a Las Vegas.

    Per finire, a me, tra tutti questi, piace solo Pirandello.

    Per finire sul serio, e non seriamente, un consiglio: mai incrociare i flussi! (cit.) 🙂

    • Non incrociamo i flussi, allora. 😀

      La coscienza di Joyce è autarchica, è vero, chiusa in se stessa e tanto basta: anche a me dà la sensazione che gli altri testi si rivolgano invece a qualcuno (il lettore per lo più), è come metterla in primo piano un po’ artificialmente, o mettere in vetrina le qualità stilistiche dell’autore, in fondo di solito si apprezza più la scrittura e non la coscienza.

  6. Tenar

    Io sono, come sempre, pragmatica. Il flusso di coscienza è uno strumento narrativo, da usare o non usare, declinato in varie forme, se e quando ci sembra utile. Non è quasi mai di facile lettura, per cui bisogna essere consapevoli che si chiede una fatica in più al lettore e che questa fatica andrà ripagata. Personalmente trovo che abbia inaspettate potenzialità comiche. Mi piace molto come lo usa Fred Vargas per far prendere una piega surreale ai suoi gialli, tra un indizio e l’altro si entra nella testa strampalata dei suoi personaggi e partono delle associazioni di idee assolutamente folli. Mini flussi di poche righe, ma molto gustosi. Nel progetto che ho ora in corso sto cercando nel mio piccolo di fare qualcosa di simile, vedremo se ci riuscirò…
    PS: buone vacanze

    • Giusto il tuo pragmatismo. Il flusso dev’essere valutato non in sé e per sé, ma come uno strumento utile in un certo passaggio per esprimere qualcosa che la normale narrazione non esprimerebbe. Anch’io ne vedo soprattutto la valenza comica, paradossalmente poi quello che ho postato di Joyce si scatena in un cimitero pensando alla morte.

      Buone vacanze anche a te, qui non chiudiamo…

      • Sono passata un attimo per dire che questo post è una macedonia. Se le ciliegie sono state già mangiate, qui Helgaldo e chi commenta ha scaricato più cassette di frutta, che al mercato generale. Devo leggere tutti i testi, in più, grazie a Tenar, mi sono scaricata “Parti in fretta e non tornare” di Vargas. Seguo il titolo, ma spero di tornare.
        Sono curiosa di sapere sui personaggi di Vargas. Se Tenar ha altro da aggiungere, lo gradirei.
        Sul testo dell’anonimo mi sono espressa nel precedente post in modo esaustivo.
        Su Pirandello, “Cartongesso” , Joyce, Vargas non posso dare un commento sommario.
        A questo punto : buone vacanze e buona lettura.

      • Buona vacanza e buona lettura a te.

  7. Luz

    Credo di aver apprezzato il flusso di coscienza con “La signora Dalloway” di Virginia Woolf. Sarà stato perché a prescindere amo tutto quello che ha scritto. Sì, perché in altre circostanze, ambiti, scritture, mi risulta faticoso da leggere. Mi dovrei predisporre a una concentrazione inespugnabile per seguire questi voli scritturali.

Scrivi una risposta a Marina Cancella risposta