
L’ondata di caldo che avvolge l’Italia non si placa, i turisti boccheggiano ovunque alla ricerca di un po’ di refrigerio, di una bibita ghiacciata, eppure Mauro Corona riesce a presentare la sua ultima fatica letteraria – Quasi niente, scritto a quattro mani con Luigi Maieron – in una gremitissima piazza Vescovado giovedì 3 agosto a Caorle, località balneare della riviera veneta, vestito da montanaro, maglietta, jeans, scarponi, l’inseparabile bandana, e l’immancabile bottiglia di vino rosso a sostituire l’acqua per bagnarsi le labbra di tanto in tanto. Come dire, trentacinque gradi alle dieci di sera e non sentirli.
Nemmeno io avrei voluto sentirlo, è che sono stato trascinato da una fiumana di traspirazione collettiva per i locali e le viuzze del centro storico di Caorle, e sbucato nella piazza da una stradina laterale, immediatamente la sua bandana diventa un punto di riferimento proprio davanti a me. Impressionante: lui mi è di spalle e davanti ha un pubblico schierato come un plotone di esecuzione su file e file di sedie di plastica. Mi ricorda le infinite file di ombrelloni perfettamente allineati tipiche delle spiagge adriatiche. Chi come me è giunto tardi all’incontro peggio per lui, dovrà accontentarsi di restare ai margini, in piedi, in fondo, ai lati, o dietro il palco.
L’editore lo presenta, microfono alla mano, coadiuvato dal giornalista Toni Capuozzo che ha il pregio o il compito, non si sa, di metterlo in buona luce sotto ogni angolazione – mass mediatica, letteraria, umana, artistica, ertana, spirituale –. Tutto calcolato perché lo scrittore emerga naturalmente, in tutta la sua singolarità di mente libera, fuori degli schemi, politicamente non corretta, che poi è il miglior modo per parlar del libro tra un goccetto e l’altro. E la temperatura già elevata s’impenna ancor di più.
La mia capacità di ascolto regge solo pochi minuti, gocce di sudore mi scendono dalla fronte, rigano il viso, scivolano sul collo, lambiscono la maglietta. Eppure il pubblico è adorante, ride a ogni arguzia del nostro scrittore-scalatore, specie su suggerimento dell’editore che mima un applauso, l’unico in effetti che sta davvero lavorando in questa torrida serata. Mi sembra di stare in tv, nello studio televisivo con il pubblico a comando per dare il suo gradimento spontaneo alla trasmissione.
Per quei pochi minuti in cui l’ho potuto ascoltare, considerazioni generali non se ne possono fare, bisognerebbe seguire il tracannamento di tutta la bottiglia di rosso a fianco di Corona, ammesso che non ne chieda una seconda. Alcuni spunti però sono doverosi.
Il primo, serve una divisa, il look, l’essere riconosciuti immediatamente, non conta aver letto o no il libro attuale, i precedenti libri dell’autore. In una località di mare, dove tutti passeggiano in pantaloncini corti, camicia di lino bianca e panama, tu devi mantenere inalterata la tua identità montanara-scalatrice, non puoi rinunciare alla mitica bandana, morire sotto l’afa pur di evitare la terrificante domanda: ma quello, chi cazzo è? Perciò chi di voi è montanaro lo sia per sempre e chi è cenerentola indossi solo scarpette di vetro. Il brand non è un profilo Facebook o la capacità di promuovere un buon libro, ma l’essere riconosciuto da tutti, da chi legge e da chi non ha mai voluto entrare in una libreria.
Per riempire mezza piazza di potenziali lettori devi perlomeno essere un Corona – Fabrizio o al limite Mauro – e rientrare in un circuito turistico di iniziative gratuite aperte a tutti, magari in una località marittima affollata, magari estiva, magari te lo becchi per caso come è capitato a me, ma riconosci subito chi è che sta parlando (non importa invece di che cosa stia parlando). Quegli autori semi sconosciuti, o del tutto sconosciuti, che restano delusi per la scarsa affluenza di pubblico in una piccola libreria di periferia, carina eh ma insomma, promuovendosi solo sui social, facciano le debite proporzioni e smettano di piagnucolare se racimolano dieci spettatori e vendono una sola copia del loro fantastico libro: ne siano soddisfatti e non ci rompano ulteriormente.
Corona promuove Quasi niente. Sono d’accordo anch’io che è si tratti di quasi niente. Anzi, quello che dice è niente, di quei niente che fanno scattare gli applausi di rito e occasionali. Per entrare subito nel cuore del suo libro Corona cita La Rochefoucauld che ha detto che nelle disgrazie dei nostri migliori amici c’è sempre qualcosa che non ci dispiace affatto. Si può essere d’accordo o no con l’aforisma, ma da lì parte tutta una sequela di banalità che prendono a pretesto la sua sconfitta inaspettata al Campiello di tre anni fa, per informarci che nella vita i fallimenti fanno solo bene perché permettono a chi ci odia di gioire, e a noi stessi di fortificarci nella sconfitta.
Se ce lo dice un montanaro che ha rinunciato alla frescura dei suoi alpeggi per predicare la necessità del fallimento sociale sul lungomare bollente di ieri, popolato di turisti località Caorle, è sicuramente una rivelazione fondamentale e irripetibile. Domani comunque si replica a Jesolo. Attenzione, posti solo in piedi.