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Rifiuti editoriali/2

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Gentile Signore,

abbiamo letto con attenzione il manoscritto che ci ha spedito, ma siamo giunti alla conclusione che per quanto sia interessante raccontare l’arco di vita di un eroe, l’opera da Lei inviataci non è inseribile nella nostra attuale produzione.

Non neghiamo che alcune parti della Sua storia siano risultate affascinanti, addirittura suggestive, soprattutto gli ultimi capitoli riguardanti il processo, la tortura, la morte e la rivincita del protagonista. In quelle poche pagine si delineano con tratti incisivi i temi della giustizia ingiusta, del Male che governa il mondo, dell’innocente sacrificato come capro espiatorio per colpe commesse da altri, della misericordia divina: una rappresentazione quasi shakespeariana. Purtroppo – e qui c’è un insormontabile problema narrativo – tutto questo è narrato in poche e condensate paginette che non sono numericamente in grado di far assurgere la Sua opera al rango di romanzo.
Tutta l’azione si sviluppa in questo concitato finale, per giungere al quale si costringe il lettore a sorbirsi pagine e pagine di monologhi buonisti, misticheggianti e idealisti che appartengono più alla filosofia dell’autore che non a quella dell’eroe del romanzo. Sappia che elemosine, digiuni, precetti, paralitici, vignaioli, pecorelle smarrite e ritrovate, non interessano al nostro lettore che reclama banalmente le tre esse – soldi, sesso, sangue – ogni volta che gira pagina. Dovrebbe quindi rivedere il messaggio di fondo della Sua opera al fine di catturare il nostro target. Suggerirei un cambiamento anche per l’ambientazione: la Palestina, terra insignificante e sconosciuta ai più, andrebbe sostituita con una più intrigante Scozia o Irlanda: non c’è gara tra una pozza d’acqua stagnante nel deserto e un bel lago verde ai piedi di un maschio fortificato nella foresta anglosassone, foresta magari popolata di folletti e draghi.

Da ultimo una nota sul punto di vista. Non ci convince affatto l’utilizzo di diversi narratori esterni per la Sua storia. Non perché l’idea sia sbagliata in sé, anzi è buonissima. Ma ci stupisce che ben tre narratori su quattro, escludo Giovanni, raccontino esattamente gli stessi fatti, nello stesso ordine, con le stesse parole. Questo è un errore francamente imperdonabile per uno scrittore. Come imperdonabile è che tutti e quattro siano esterni alla storia. Sarebbe molto meglio scegliere narratori interni alla trama: Pietro, Caifa, Maddalena, Pilato, per esempio sarebbero punti di vista più affascinanti, e l’intreccio narrativo ne guadagnerebbe.

Se è d’accordo vorremmo invece discutere con Lei il piano marketing che ha allegato alla Sua opera. La Sua idea di diffonderla tramite reading pubblici nelle piazze o in luoghi edificati allo scopo, con l’ausilio di personale specializzato in questo tipo di narrazione, ci incuriosisce. Potrebbe funzionare con altri libri che non siano il Suo? Se vuole dettagliarci meglio la Sua strategia di marketing il nostro direttore commerciale è disponibile a incontrarLa.

Nel frattempo La ringraziamo per aver pensato a noi e Le inviamo in nostri migliori saluti.

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Rifiuti editoriali

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Devo dire che le prime trenta pagine del suo manoscritto mi hanno entusiasmato. L’irruzione dei due funzionari di polizia nella camera di Josep K. e il dialogo che ne consegue sono sviluppati con maestria. Questo alza la posta in gioco e incuriosisce il lettore, che a quel punto è già schierato al fianco del protagonista ingiustamente calunniato.
Ma poi c’è un cedimento strutturale. Anziché impostare il romanzo sul classico sviluppo processuale, lei si ingarbuglia nella descrizione di scene confuse che non vanno da nessuna parte. Manca del tutto la presenza di un avvocato difensore alle prime armi o di un detective in cerca di riscatto che affianchi il protagonista in questo caso di malagiustizia. Bisognerebbe quindi creare questo personaggio e renderlo il fulcro del romanzo.
Il suo è un legal thriller anomalo e anonimo. Mi pare che lei non abbia alcuna esperienza di procedure giudiziarie, né di investigazione. Tra l’altro, cosa gravissima, manca un capo d’accusa chiaro su cui far ruotare la vicenda, o almeno io non l’ho capito. Quale reato avrebbe mai commesso Josep K.? (Ne cambierei anche il nome per non associarlo al suo, a meno che lei non voglia scrivere usando uno pseudonimo).
L’atmosfera del romanzo mi pare esageratamente cupa, un po’ angosciante. Non trovo un aggettivo adatto a definirla, e questo dimostra che lei scrive fuori dai canoni, e quindi il suo romanzo allo stato attuale non è vendibile.
Il consiglio che le posso dare è di riscalettare il tutto a partire da pagina 30, chiarire il reato di cui è accusato K., incentrare la storia sull’avvocato difensore, e cambiare il finale: il protagonista che si autoaccusa di un crimine che non ha commesso e che viene giustiziato in modo sommario ai margini della città non esiste proprio. Stia invece sul classico meccanismo a orologeria dove la prova dell’innocenza viene fornita a pochi attimi dall’esecuzione della sentenza capitale. È un finale forse banale, ma ai lettori piace, e anche a noi editori.

Ps. Il processo è un titolo banale, fa pensare a un manuale di procedura penale. Suggerisco Fino a prova contraria, dà più l’idea del thriller.

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