Sfogliando il «Corriere della Sera» di martedì 21 gennaio, leggo una pubblicità di Eataly, l’azienda del food made in Italy di Farinetti, dove a tutta pagina si invitano quelli che si sentono un po’ scrittori a partecipare al primo concorso letterario di Eataly in collaborazione con la scuola Holden.
Mangia, scrivi… Eataly, il nome del concorso che «chiede di scrivere un racconto che abbia come sfondo Eataly, come protagonista, ambientazione, punto di partenza o arrivo. Insomma, Eataly dev’essere uno degli elementi narrativi».
C’è tempo fino al 31 maggio per inviare il proprio elaborato e i migliori 40 racconti verranno pubblicati con la scuola Holden e verrà data loro grande visibilità in tutti i negozi Eataly.
Per i primi tre classificati c’è addirittura in palio un montepremi di 1700 euro complessivi: un buono spesa di 1000 euro nei negozi Eataly per il primo classificato; un buono di 500 euro per i corsi della scuola Holden al secondo; e infine, per il terzo 200 euro di buoni spesa sullo store online di Eataly.
Cosa aspetti a partecipare? Diventa uno scrittore con Eataly!, questo l’invito finale dell’azienda del gusto. Mangi meglio, scrivi meglio.
Che bella iniziativa! Non si vive di solo pane, anche la cultura è cibo per la mente, forse più importante del fosforo nel pesce.
Però io, che volete farci, sono un po’ diffidente. Anzi, la mia è paranoia pura. Di concorsi letterari ne ho frequentati molti – ne ho già parlato in passato –, ma molti di più non li ho frequentati; e tutti quelli che non ho frequentato erano proprio quelli alla Eataly.
La formula è sempre identica: un’organizzazione chiede di scrivere qualcosa che la riguardi, anche solo in parte. Tu lo fai, e come te lo fanno molti altri. Una marea di partecipanti. Sembra tutto molto bello. Ci sono ricchi premi in palio. Ricchi premi? Insomma, se c’è dietro un’azienda del caffè mille euro in caffè, se c’è una software house mille euro in software, se vendo alimentari mille euro in alimenti. Niente soldi veri, di quelli che ti servirebbero per pagare le bollette. Forse perché sanno che gli scrittori fanno la fame, e allora ti premiano con le briciole, in questo caso briciole made in Eataly, che è gusto per il palato.
Ma non è questo il punto. Il punto è che le suddette organizzazioni grazie a iniziative come questa fanno marketing al brand e ottengono consensi, piacciono alla gente che piace, si ergono a promotori della cultura: insomma, appaiono più virtuose e belle di quello che già sono agli occhi dei consumatori. E tra poco troverai nei loro punti vendita persino un libro che parla in modi originali proprio di loro.
Ma il problema non è neanche questo. Il problema sta nei regolamenti, nei dettagli, nelle clausole per partecipare, clausole e dettagli che mi fanno sempre dire di no a questo tipo di concorsi.
Le clausole di Eataly e di tutti gli altri (case editrici comprese) recitano in questo o quel punto del regolamento – una volta all’articolo 9, un’altra al 13 – che «le opere potranno essere utilizzate dall’Organizzazione del concorso senza nulla pretendere da parte dei partecipanti e la cessione dei diritti da parte degli autori è gratuita e totale».
Questo per consentire la pubblicazione dei volumi antologici, senza che nessuno possa pretendere un compenso, certo. Chissà poi se il volume avrà un prezzo con cui finanziare qualche attività (si spera benefica) o verrà intascato da chi pianifica l’evento. Intanto tu hai ceduto il tuo lavoro, l’opera del tuo ingegno, che sembra qualcosa di piccolo, senza importanza, quasi ridicolo. Però è l’unica cosa che uno scrittore può cedere di tutto ciò che fa.
Questo genere di Organizzazioni, con la O maiuscola, si appropriano della tua opera per farne ciò che vogliono, quando vogliono, se vogliono.
Vuol dire che domani potresti vederti la tua idea trasformata in pubblicità, in comunicazione. Le tue parole, estrapolate dalla prosa, potrebbero diventare uno slogan azzeccato, un headline efficace e tu non potresti far altro che dire agli amici che quella frase era tua, e adesso non l’è più.
Direte: ma figurati se Eataly e tutti gli altri sono interessati a queste cose, magari mi rubassero le idee, vorrebbe dire che valgono qualcosa.
Lo so, magari non lo fanno. Se non lo fanno, però, perché non scrivono nei regolamenti «la cessione gratuita è limitata agli utilizzi inerenti alle finalità del concorso stesso, e i diritti restano in ogni caso proprietà dei rispettivi autori», come mi piace leggere nei concorsi seri che rispettano la creatività di chi partecipa? E invece no, dicono che delle tue idee i proprietari diventano loro.
Se nelle parole degli scrittori si annidano le idee, conviene investire qualche euro per portarsele a casa regalando in cambio un piatto di lenticchie?
Bòne, le lenticchie!