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La cura

Ieri ho iniziato  Da dove sto chiamando, di Raymond Carver. Ho letto il primo racconto dell’antologia, Nessuno diceva niente. Ho riflettuto per un po’, dopo averlo finito. Poi sono uscito di casa, dovevo correre al lavoro. Nel tragitto sono entrato un attimo nella prima libreria che ho trovato sulla mia strada, e ne sono uscito con due libri di Pontiggia. Bene, ora va notevolmente meglio.

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Ascoltando Pontiggia/1

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Nella prima puntata delle Conversazioni sullo scrivere di Giuseppe Pontiggia del ’94, conversazioni che potete liberamente scaricare dal sito di Radiorai, lo scrittore comasco introduce molti spunti su cui è doveroso soffermarsi. Non so quali osservazioni faranno in proposito Marina Guarneri e Michele Scarparo sui loro blog, poiché questa è un’iniziativa a tre, ma personalmente mi soffermerei su un punto appena sfiorato nella puntata, ma di grande responsabilità per tutti quei blogger che offrono consigli di scrittura ai propri lettori. Pontiggia propende per un approccio problematico alla scrittura, in contrapposizione alle certezze americane di tipo normativo basate su consigli e modelli consolidati di costruzione della trama stessa, specie se legati alla letteratura di genere.

Quello di non fornire soluzioni rapide e appaganti, dell’aprire scenari, di evidenziare problemi e opportunità nella scrittura, di privilegiare percorsi alternativi ugualmente percorribili nell’economia del testo, senza indicare un modello unico di trama; di non ridurre le questioni di stile e di scelta linguistica al paratattico, alla presenza o all’eliminazione degli avverbi in mente, di non dare risposte preconfezionate sul numero di aggettivi da accostare a un sostantivo per rendere efficace la frase; questo è l’approccio che preferisco, che mi è istintivamente congeniale e mi distanzia da quelle soluzioni troppo pilotate, in dieci o in sette o in cinque punti, che sembrano caratterizzare molti consigli che affollano la rete, consigli che vengono presentati come verità assolute mettendo tutti d’accordo, o che presentando l’accordo di tutti diventano verità assolute.

Il rischio di salire sul piedistallo e distribuire consigli-scorciatoia quando invece la scrittura è di per se stessa caratterizzata da vie tortuose e a volte vicoli ciechi verso la meta finale della pubblicazione, ci accomuna tutti, a partire dal sottoscritto. Mi sento tirato per la giacchetta da Pontiggia, lui che avrebbe l’autorità per dire cosa funziona e cosa no sulla pagina, e invece ci educa per gradi, dolcemente, chiedendo solo concentrazione e impegno continuo. Niente trucchi da quattro soldi, insomma.

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Pontiggia, un classico

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Se un classico è un testo talmente ricco di spunti, per cui anche gustandolo a spizzichi e bocconi è in grado di nutrirci profondamente, allora Giuseppe Pontiggia è un classico.

Escono in questi giorni le sue Conversazioni sullo scrivere, raccolta pressoché completa degli interventi radiofonici sulla scrittura che lo scrittore comasco tenne su Radiodue nel ’94. In pratica, la trascrizione delle sue riflessioni sulla scrittura creativa, riflessioni che dovrebbero interessare quanti aspirano a fregiarsi del titolo di scrittori.

La Stampa di ieri ha pubblicato uno di questi interventi, collage di pensieri disarticolati tra di loro, ma talmente ricchi di osservazioni da riuscire a rigenerare l’intero tessuto del discorso. E non solo. Ogni volta che mi soffermo su una sua frase, un suo pensiero, scopro non tanto di essere d’accordo su quanto afferma riguardo alla scrittura, ai personaggi, alla trama. Ma quanto sia vero ciò che dice, perché l’ho sperimentato direttamente. Perché una cosa è comunicare un pensiero ad altri, un’altra – e molto più potente – è farlo rivivere in chi legge. Con Pontiggia ho sempre riscoperto me stesso, e questa è per me la prova che fa di lui un classico.

Vediamoli allora questi due-tre pensieri sulla Stampa di ieri. Ve li dico così, come mi sono rimasti in mente. Il primo è che conta solo quello che finisce sulla pagina. Dice Pontiggia che tendiamo a confondere vita e scrittura. Dire che sulla pagina si trasfonde la vita è una metafora pericolosa. Penso immediatamente a quanto c’è di autobiografico in tutto ciò che scrivo, e devo ammettere che non è poco. Penso per esempio ai miei «racconti» vissuti in metropolitana, viaggiando tra casa e lavoro. Tesi non a riferire un episodio accaduto, dire cosa è successo e cosa no, ma a ricrearlo nella sequenza «giusta» per la pagina. Quando Pontiggia afferma che nella realtà le cose possono capitare in vari modi, ma sulla pagina in uno solo, quello giusto, non dà perciò un consiglio di scrittura astratto e oggettivo, ma non fa altro che confermare quello che tutti dovrebbero avere già sperimentato nel proprio Dna di scrittori. Non dice nulla di nuovo, da tecnica di scrittura all’americana. Conferma solo ciò che dovremmo già sapere, un classico appunto.

Allo stesso modo afferma che un testo ha valore se supera l’inventiva dell’autore stesso. Anche qui, i manuali moderni puntano sul brainstorming, sui cluster – pratiche aziendali e pubblicitarie – come metodi per sviluppare la creatività prima di buttarsi nella stesura. Invece l’autore scopre il proprio testo mentre lo scrive, giungendo persino a sorprendersi. Addirittura una rivelazione a posteriori, magari mesi o anni dopo avere prodotto il testo, con nuovi e più profondi significati impensati durante la prima stesura, che danno alle parole scritte quell’indipendenza dall’autore, che le rendono un classico, cioè valido oltre le capacità l’autore.

Tutto questo dice Pontiggia nelle poche righe riportate sul quotidiano. In realtà un po’ lo dice lui, un po’ lo dico io. Nessuna relazione tra i due, intendiamoci. L’unico nesso è tra un classico che non smette mai di parlare, Pontiggia, e un contemporaneo che non smette mai di riscoprire se stesso nei classici, Helgaldo. Spero che questa esperienza sia capitata anche a voi, grazie a Pontiggia o grazie ad altri, ma ciò che conta è che sia successa, cari scrittori.

C’era sicuramente poi una terza cosa dallo stralcio che ho letto, ce ne sono tante, ma non la ricordo più. Vi dirò allora un aneddoto da lui stesso raccontato. Una signora in visita allo studio di Braque fissa un dipinto e rivolgendosi al maestro gli fa notare che la donna ha un braccio più lungo dell’altro. Signora, risponde il pittore, questa non è una donna, è un quadro. Ecco di nuovo quel tessuto organico che ricrea la relazione tra realtà e pagina letteraria.

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L’alibi semantico di grasso

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Se finora il Circolo Pickwick ha analizzato racconti brevi di autori celebri e meno celebri, oggi sono costretto dalle circostanze a fare uno strappo alla regola. Volevo proporvi Goloso di Giuseppe Pontiggia, pagine stupende che dovrebbero entrare nelle antologie scolastiche di letteratura. Non ne ho però trovato traccia in rete, e devo ripiegare – si fa per dire – su una breve osservazione dell’autore comasco dal titolo L’alibi semantico di grasso. Due paginette due, una sorta di post ante litteram, dove parla di diete, con riferimenti autobiografici precisi.

Al di là del tema, che può interessare o no, ricordo che lo scopo del Circolo Pickwick vorrebbe essere non tanto quello di far esclamare «mi piace, non mi piace», quanto quello di provare ad analizzare le tecniche narrative presenti nel brano per rubare il mestiere a quelli che sanno scrivere, e sicuramente Pontiggia è uno che sa scrivere.

Credo quindi che occorra rileggere, riflettere, pensare, evidenziare, sottolineare e proporre spunti che possano essere utili a tutti nelle rispettive scritture, anche partendo da due paginette.

L’analisi del brano sotto osservazione, il quinto che trovate sull’anteprima delle Sabbie immobili, non è altro che una scusa per imparare a leggere e a scrivere con più consapevolezza nei mezzi espressivi che abbiamo a disposizione. Se vi piacerà, ma anche se non vi piacerà, non fermatevi alla superficie. Cerchiamo di scavare insieme come la parola scritta riesca a influenzare i nostri stati d’animo mentre la leggiamo.

Concludo dicendo che forse questa costrizione a «ripiegare» sulla non fiction, ammesso che anch’essa non sia in fondo romanzata – e vi lascio con questo spunto sperando che qualcuno poi ne parli nei commenti –, ha un aspetto positivo che vorrei farvi notare: quanto leggo nei vari blog sugli argomenti più diversi tratta quasi sempre temi interessanti. L’aspetto deficitario dello scritto risiede invece, non dico tutte le volte ma spesso, nel come viene trattato. Analizzare come uno scrittore dipana temi quotidiani può forse aiutarci a trovare nuovi modi per esprimerci efficacemente nei nostri blog. Buona lettura a tutti. Appuntamento nei commenti.

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I cosiddetti maestri

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«Dispiace nei cosiddetti maestri non che cambino le idee, ma che le idee non li cambino».

Giuseppe Pontiggia

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Rileggere

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«Si usa per i classici che si leggono per la prima volta».

Giuseppe Pontiggia

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Conferenze stampa

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«Sempre più sovraffollate. Tenerle in locali sempre più piccoli per rendere il medesimo pubblico sempre più grande. Trentadue persone in un teatro si vedono a fatica. In una libreria rigurgitano sulla strada».

Giuseppe Pontiggia

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Pagina bianca, pagina nera

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«Il terrore della pagina bianca. E di quella scritta?».

Giuseppe Pontiggia

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Sterilità prolifiche

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«Lo scrittore poco prolifico è meglio di quello prolifico. Chissà dove arriverebbe se non scrivesse mai».

Giuseppe Pontiggia

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Viva lo scrittore

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«Lo scrittore migliora con gli anni. Il paragone più frequente è il vino. Anche se pochi vini migliorano con il tempo.  L’ascesa dello scrittore è invece inarrestabile e tocca il suo culmine con la decrepitezza e la morte. Lo scrittore morto è immortale».

Giuseppe Pontiggia

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