«Scrivere non c’entra niente col fare soldi, diventare famoso, crearsi occasioni galanti, agganciare una scopata o stringere amicizie. Alla fine è soprattutto un modo per arricchire la vita di coloro che leggeranno i tuoi lavori e arricchire al contempo la propria. Scrivere è tirarsi su, mettersi a posto e stare bene. Darsi felicità, va bene? Darsi felicità».
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Più leggerete, meno correrete
«L’aspetto veramente importante della lettura è che favorisce una disinvolta intimità con il processo della scrittura; si mette piede nel paese dello scrittore con tutti i documenti più o meno in ordine. La lettura costante vi trascinerà in un luogo (una disposizione mentale, se vi va questa definizione) dove potete scrivere di gusto e senza imbarazzi. Vi offre anche una conoscenza sempre crescente di quanto è stato fatto e quanto no, di che cosa è trito e di che cosa è fresco, di che cosa vive sulla pagina e che cosa ci muore (o è già defunto). Più leggete, meno correrete il rischio di rendervi ridicoli con la penna e il computer».
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Kurt Vonnegut fa così
«L’operazione di riscrittura varia moltissimo da autore ad autore. Kurt Vonnegut, per esempio, riscriveva ogni singola pagina dei suoi romanzi fino a quando non fosse del tutto soddisfatto di aver ottenuto quello che desiderava. Di conseguenza c’erano giorni in cui riusciva a comporre nella loro stesura finale solo una o due pagine (e il cestino era pieno di pagine settantuno e settantadue, scartate e accartocciate), ma quando aveva finito il manoscritto era finito il libro, ragazzi. Lo si poteva mandare in stampa».
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Pagina viva, pagina defunta
«La lettura costante vi trascinerà in un luogo (una disposizione mentale se vi va questa definizione) dove potrete scrivere di gusto e senza imbarazzi. Vi offre anche una conoscenza sempre crescente di quanto è stato fatto e quanto no, di che cosa è trito e che cosa è fresco, di che cosa vive sulla pagina e che cosa ci muore (o è già defunto). Più leggete, meno correte il rischio di rendervi ridicoli con la penna o il computer».
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Di cani e di tacchini
«Quando una similitudine o una metafora non funzionano, il risultato è alle volte comico e alle volte imbarazzante. Di recente in un romanzo di prossima pubblicazione di cui preferisco non citare il titolo, ho letto questa frase: “Sedeva imperturbabile di fianco al cadavere in attesa del medico legale, paziente come un uomo che sta aspettando un sandwich di tacchino”. Se c’è un nesso chiarificatore, io non l’ho visto. Di conseguenza ho chiuso il libro senza continuare a leggere. Se uno scrittore sa che cosa sta facendo, io sono pronto ad accettare il passaggio per viaggiare con lui. Se così non è… be’, ho superato i cinquant’anni ormai e ci sono un sacco di libri da leggere. Non ho tempo da sprecare con quelli scritti male».
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L’abbigliamento adatto
«Il linguaggio non deve indossare sempre giacca e cravatta. Il fine della fiction non è la correttezza grammaticale ma mettere il lettore a proprio agio e poi raccontargli una storia… fargli dimenticare, se è possibile, che è lui o lei che sta leggendo la storia».
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Minestre riscaldate
«Correva “come un matto”, era bella “come un giorno d’estate”, era forte “come un toro”, Bob combatté “come una tigre”… non sprecate il mio tempo (né quello di altri) con minestra riscaldata come questa. Vi fa apparire o pigri o ignoranti. La vostra reputazione di scrittore ha solo da perderci».
Oggi non sono in casa, mi trovate da Chiara Solerio, ospite del suo blog Appunti a margine. Si parla di quarte di copertina: che cosa sono, come si scrivono. Vi va di discuterne con noi?
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Festa del lavoro tranne che per noi
«Avevo l’abitudine di dire agli intervistatori che scrivevo tutti i giorni tranne Natale, il Quattro di Luglio e il giorno del mio compleanno. Era una bugia. Lo dicevo perché se si accetta un’intervista bisogna poi dire qualcosa, e viene meglio se non è qualcosa di totalmente insipido. E poi non volevo passare per uno stacanovista fanatico (già stacanovista mi bastava). La verità è che quando scrivo, scrivo tutti i giorni, fanatico o no. Ciò significa anche il giorno di Natale, il Quattro di Luglio e il giorno del mio compleanno».
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Motel e altri animali
«Si può leggere dappertutto, o quasi, ma quando si tratta di scrivere i tavoli delle biblioteche, le panchine dei parchi e gli alloggi temporanei dovrebbero essere un’ultima risorsa. Truman Capote diceva che lavorava al meglio nelle camere dei motel, ma è un’eccezione; la maggior parte di noi lavora al meglio in un posto proprio. Finché non l’avrete, troverete molto difficile prendere sul serio la vostra nuova decisione di mettervi a scrivere».
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Niente trucchi da quattro soldi, grazie
«Se volete fare gli scrittori ci sono due esercizi fondamentali: leggere molto e scrivere molto. Non conosco stratagemmi per aggirare questa realtà, non conosco scorciatoie.
Io sono un lettore lento, però mando giù solitamente dai settanta agli ottanta libri all’anno, soprattutto romanzi. Non leggo per imparare il mestiere; leggo perché mi piace leggere. È quello che faccio alla sera nella mia poltrona blu. Analogamente, non leggo romanzi per studiare l’arte della fiction, ma semplicemente perché mi piacciono le storie. Tuttavia si instaura un processo di apprendimento. Ogni libro che aprite ha la sua o le sue lezioni da offrirvi, e abbastanza spesso i libri brutti hanno da insegnarvi di più di quelli belli».
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