Tu vuo’ fa’ l’americano

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L’ultimo premio Nobel per la letteratura assegnato a un italiano porta il nome di Dario Fo. Prima di lui lo vinsero Carducci, Deledda, Pirandello, Quasimodo e Montale, gente che l’italiano lo conosceva a fondo e lo sfruttava al meglio per creare capolavori di livello mondiale.

Per fortuna siamo esentati dal ripetere simili imprese, ma non siamo affatto esonerati dal migliorare la nostra competenza linguistica, competenza che si può sviluppare solo stando a stretto contatto con gli scrittori di lingua italiana del passato e del presente. Una traduzione, per quanto perfetta e coscienziosa, non potrà mai sostituirsi a una prosa pensata direttamente nella nostra lingua madre. Può essere spiacevole da dire, ma non si può scrivere bene in italiano passando attraverso le parole mediate dei traduttori invece di quelle dirette degli autori.

Perciò, per divertimento, ma anche per saggiare la nostra sensibilità linguistica, ho chiesto ieri di valutare la prosa di cinque autori per stabilire se fossero italiani o stranieri tradotti.

Vi dirò subito che il risultato delle valutazioni può essere interpretato in molteplici modi, alcuni addirittura opposti; le contraddizioni sono tante, e tutte utili alla discussione, quindi mi limiterò a dirvi da chi fosse costituita la cinquina misteriosa, lasciando a voi le conclusioni del caso.
Ringrazio intanto Ariano, Iara, Marina, Michele e Simona, in rigoroso ordine alfabetico, che hanno accettato di fare da cavie.

Il primo dei brani proposti è tratto da Senza pietà di Patricia Highsmith, capitolo 4, nella traduzione di Marisa Caramella per Bompiani.
Qui ho barato, lo ammetto, sostituendo i nomi inglesi di Alicia e Mrs Lilybanks con quelli nostrani di Alice e signora De Pascale, per non «telefonare» la soluzione. Ma poiché la valutazione doveva basarsi soprattutto sulla costruzione delle frasi, sull’uso e sulla disposizione dei termini all’interno del brano, il mio inganno non andava a inficiare la valutazione. Esito finale contraddittorio: il 50% ha pensato che il brano appartenesse a uno scrittore italiano. E l’altro 50 non si è fatto influenzare dall’italianità dei nomi.

Il brano successivo, di genere fantasy, appartiene invece a uno scrittore in self-publishing. Si tratta di Grifo di Alessandro Girola, storia ambientata a Ferrara, mi par di capire. Interessante la valutazione complessiva. L’80% ha ritenuto che il brano fosse di un autore inglese. Non giudico la qualità della prosa, ma è significativo notare che la credibilità di uno scrittore italiano in questo genere letterario viene validata da una scrittura esterofila.

E veniamo al brano 3, interessantissimo. Anzi, una vera e propria bomba. Il 60% ha pensato appartenesse a uno scrittore inglese. Si tratta invece di È una vita che ti aspetto, Fabio Volo, proprio lui! Divertentissimi letti a ritroso i vari giudizi sulla prosa del Fabio nazionale, specie quelli negativi, che poi sono il cento per cento del campione, direbbe Mannheimer. Qui di carne al fuoco per la discussione ce n’è. Vedete voi.

Susanna Tamaro, Va’ dove ti porta il cuore era il quarto autore anonimo. Di nuovo il giudizio è contrastato. C’è anche chi non si pronuncia, dividendo esattamente a metà gli altri: 50% italiano, 50% straniero. Chissà se la Tamaro se la prenderà per non essere stata riconosciuta al primo colpo come scrittrice italiana, visto che spara spesso a zero sulla cattiva prosa dei suoi compatrioti scrittori.

Manca l’ultimo autore. Chi mai sarà questo scrittore che al 100% viene giudicato come italiano, mettendo tutti d’accordo?
In realtà si tratta dell’americano Philip K. Dick nel racconto Modello due per Fanucci editore, traduzione di Paolo Prezzavento.
Anche qui ho operato un impercettibile cambiamento: Eric, il protagonista, diventa Enrico. Leone resta invece Leone. Sarà stato questo a ingannare tutti?
Qualcuno ha dichiarato di sentirsi vicino alla sua prosa. Be’, scrivere come Philip K. Dick non è cosa da poco. Ma il Philip K. Dick italiano o quello americano? Questo è il dilemma.

48 commenti

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48 risposte a “Tu vuo’ fa’ l’americano

  1. miscarparo70

    Davvero risultati inattesi, per me, che credo di aver sbagliato il 100% delle risposte 🙂
    A questo punto bisognerebbe prendere i due stranieri (quelli veri) e leggere gli originali; soprattutto, però, bisognerebbe prendere i due traduttori e farci due chiacchiere perché non è detto che la prosa tradotta sia peggiore dell’originale, anzi. E io sarei curioso di sapere quanto del loro ci sia, per farci (farmi!) riconoscere quella prosa come italiana.

    • Prima di tutto i cinque brani erano simili, ho scelto delle descrizioni per rendere omogenei i confronti. E poi i brani erano brevissimi, su una distanza maggiore forse avresti cambiato alcuni giudizi, chissa.
      Se ripetessi il gioco sui dialoghi, inoltre, potrebbe notarsi di più la differenza tra un italinao e uno straniero. I due stranieri, presi a caso nella mia libreria e mai letti, sono pezzi da novanta, e in questi casi la traduzione è particolarmente seguita e delicata. Per Dick c’è anche un curatore, Carlo Pagetti. Non è detto che per stranieri minori ci sia la stessa cura. Considera che oltre il traduttore interviene anche un revisore di traduzione per alcuni testi, una figura che non compare ufficialmente ma rimette a posto proprio la lingua italiana rifinendo le parti di traduzione scritte mediocremente.

      • miscarparo70

        Infatti: c’è troppa potenza di fuoco, lì, per gli italiani che hai scelto. Avresti dovuto metterci un Pirandello, un Montale o gente così: ecco, allora…

      • Di quelli che hanno vinto il nobel, riflettevo, ho letto solo Pirandello e qualcosa di scolastico per gli altri. Posso pretendere di scrivere bene in italiano?

      • miscarparo70

        Spero proprio di sì, perché io non ho letto neppure quelli! 😉

  2. Ariano Geta

    Ne ho azzeccati 3 su 5, la sufficienza me la merito? ;-P
    Il 5 a mio modesto avviso ha delle sonorità italiane soprattutto nella scelta degli aggettivi e nella loro posizione prevalente dopo il sostantivo e non prima. Per poter giudicare correttamente bisognerebbe leggere l’originale inglese, ma reputo di poter affermare che il traduttore, in questo caso, ha fatto un ottimo lavoro.

    • Direi di più, Adriano. Hai anche colto l’italiano fantasy in self che scrive all’inglese. Probabilmente assimilando una certa prosa tipica di quel genere. Direi che sei stato molto preciso nelle tue valutazioni (anche Volo l’hai preso… al Volo). E poi i brani erano cortissimi, quindi era anche una lotteria più che una valutazione. 🙂

      Per Dick vale lo stesso discorso che ho fatto a Michele, c’è anche un curatore e quindi l’attenzione al testo è alta. Con scrittori di fantascienza di rango inferiore non è detto che ci sia la stessa cura. Qui ho scelto solo il meglio della letteratura di genere.

  3. Ieri non ho partecipato, sono stata tutto il giorno fuori città sconnessa.
    Oggi dico solo una cosa: Senza Pietà è un libro stupendo, la Highsmith un esempio per tutti, ha scritto anche un bel manuale di scrittura.

  4. Simona C.

    Ne ho presi 2 su 5, che bestia! Complimenti al traduttore di Dick, scrive quasi come me 🙂

    • Probabilmente scrivono quasi come te, come ho detto sopra. Hai un bel punto di partenza 🙂
      Però tu vuo’ fa’ l’americana allora…

      • Simona C.

        Secondo me, scrivo all’americana non tanto per i libri, ma i tanti fumetti che ho letto (che poi non sono nemmeno tutti americani).
        Di americano vorrei le trasposizioni cinematografiche dei miei libri. Oggi Hollywood supera il cinema italiano che sembra tutto girato da Maccio Capatonda. Una volta erano gli americani a copiare noi 😦

      • È vero. Però la cinematografia di Fellini, De Sica era italiana. Poi si è cercato di imitare l’America. Oggi il cinema italiano viene percepito come minore.
        Lo stesso accade per la letteratura. Se scrivi del tuo quartiere, i lettori non vogliono saperne. È giusto che sia così? È giusto iniziare in media res e scrivere un romanzo come se fosse un film (cosa che forse riuscirei anche a fare, ma non sarebbe più un romanzo, o almeno un romanzo italiano)?

      • Simona C.

        Infatti mi riferivo al cinema italiano di una volta. Io scrivo un romanzo perché sia un romanzo e voglio diventare così brava che gli stranieri vorranno imitare me. 🙂

      • Quello che mi piace di Simona è che si impone degli obiettivi minimi. 😀

      • miscarparo70

        Io, invece, ho deciso che voglio vincere il Nobel prima di Roth. In alternativa, potrei accontentarmi di un Oscar prima di Di Caprio.

      • Ti do una carpetta prima di Heidi, contento?

      • miscarparo70

        Una carpetta!? XD

      • 🙂

        Ti aspettavi una capretta immagino. E invece lì, dove le caprette ti faccio ciao, e il correttore automatico di Apple è disabilitato, ricevere carpette è un grande riconoscimento culturale. Sono svizzeri mica da ridere in quella valle. Carpetta d’oro per Michele, segue buffet a base di carpe. Carpe fritte, in umido, alla brace, carpa e polenta, carpa alla carpa, carpa ripiena di carpe, sidro retrogusto carpa, birra artigianale al luppolo carpato.

      • Simona C.

        Se non punti all’eccellenza non puoi migliorare 😉

    • Simona C.

      Proprio stamattina ho esposto sul blog la mia libreria e già ti vedo con un pacchetto di cerini in mano…

  5. Io ho dato Volo per tradotto! Che può voler dire?
    La Tamaro.. E dire che anni fa, io quel libro l’ho letto. Che proprio non m’è rimasto niente, neanche un vago richiamo!
    Invece è curioso che i libri ai quali ho associato la mia scrittura, l’1 e il 5, siano di due autori stranieri (anche se non li conosco).
    Io vo’ fa’ l’americana! 🙂

    • miscarparo70

      La riflessione sorge spontanea: per me, gli unici due “italiani” erano Philip K. Dick e la Highsmith. Il primo è arcinoto, la seconda (a me, che sono ignorante, non nota) pure: basta leggere Sandra e vedere Wikipedia per scoprire che i suoi libri sono stati trasformati in film da gente che va da Alfred Hitchcock a Wim Wenders, mica pizza e fichi.
      Gli “italiani” (quelli veri), invece, non erano certo gente di grande livello: Girola (che per quanto bravo è un selfer di genere), Volo (si spara sulla Croce Rossa) e la Tamaro, che ha imbroccato un libro e poi è sparita (e a questo punto viene un dubbio anche sul libro che le hanno pubblicato).
      Ergo: i traduttori hanno fatto un buon lavoro e, se la prosa di partenza è migliore, il risultato finale sarà comunque migliore di un italiano già nato mediocre.
      IMHO.

      • In base a quello che dici, e che io condivido, crollerebbe l’impalcatura di Helgaldo sull’importanza di affinare la propria scrittura solo su esempi di letteratura italiana; il che vuol dire due cose, per me: 1) che solo la letteratura italiana di un certo livello può essere maestra e guida; 2) che anche le buone traduzioni rendono un testo straniero degno di essere preso come esempio di ottima scrittura.

      • Continuo a pensare che debba esistere una scrittura italiana, come temi e forma. Infatti ci stiamo perdendo in questa lingua letteraria che, consapevolmente o no, ricalca quella inglese, televisiva, cinematografica, giornalistica. La letteratura italiana è stata costruita sui poeti del passato e tolto Manzoni e Verga non c’è quasi nulla fino a Pirandello. Dario Fo ha riprodotto una lingua medievale, questo il suo contributo alla letteratura italiana, secondo me almeno.
        E ora? Sono pochi, davvero pochi quelli che lavorano anche sulla lingua. La maggior parte punta sulla trama, il sentimento, il contenuto. Di forma non parla quasi nessuno. Nessuno riflette mai sull’italiano, sulle sue trasformazioni. Anche Pasolini (ma era un poeta) lavorava su quel linguaggio di borgata che ha reso unici i ragazzi di vita. Poi poco altro, io poi sono ignorante, si sappia… salvatevi voi.

      • Quello in self l’ho inserito per vedere se veniva considerato un inglese, e così è stato. La maggior parte dei selfer scrive in questo modo, secondo me perché ha alle spalle letture, anche di second’ordine di questo tipo. Si consumano facilmente nella bolgia del metrò. Tamaro non me l’aspettavo, e forse anche Volo. Il fatto che scrivano con periodi semplici, paratattici, li accomuna all’inglese quasi che gli italiani siano ipotattici per definizione, ancora legati a Boccaccio.

    • Siamo un po’ tutti americani, forse è questo il lato positivo e negativo del «test». Qualche post fa hai detto di Volo che ti era piaciuto, e ora l’hai distrutto come pessima traduzione.
      Ma è giusto che sia così, dobbiamo tutti imparare a osservare il testo, bello o brutto che sia, per migliorare i nostri lavori. Se poi abbiamo daventi una traduzione, doppia critica. Non diamo mai per scontato, soprattutto con self-publishing e autori minori stranieri, che l’italiano pubblicato non diventi anche il nostro standard. Sorvegliamoci.

      • Non mi era dispiaciuto, che è un pelino diverso dal mi era piaciuto. Però, sì, avevo trovato quella lettura gradevole. Forse, però, e qui ti do ragione, ero concentrata sulla storia, sulla trama, non sulla scrittura in sé. Nel tuo esercizio, invece, dovevo stare attenta proprio a quella e dunque sono saltate fuori le pecche riconosciute.

      • Ergo, Helgaldo serve…

  6. Opperò, Fabio volo, nei nostri commenti, si è trovato a essere “tipico scrittore del nuovo mondo” (Michele), autore di un libro “da edicola” (Ariano) e uno che usa l’italiano “ad cazzum” (Marina). 🙂

    • Tutte cose giuste per l’autore primo in classifica in questi giorni, superando anche le inchieste sul Vaticano. Questa è una nota da tener presente. Giuro che prima o poi Volo lo leggo, avendo anche il libro.

      • Ma tu, perché hai un libro di Volo nella tua libreria?

      • Perché un giorno mi sarebbe servito per questo post.
        Perché acquisto conpulsivamente.
        Perché se russi e turchi si incazzassero e iniziassero a spararsi a vicenda e poi interviene l’America e la Cina, e scoppia un conflitto atomico, e l’Isis è per le strade delle nostre città, ed è meglio non uscire, ecco me ne sto a casa e mi leggo Volo.
        Perché fa figo averlo senza averlo letto.

  7. iara R.M.

    Non mi pronuncio, sono avvilita.
    Ho preso solo quello della S. Tamaro.
    L’ultimo era quello che mi piaceva di più insieme al primo. I tre centrali non mi hanno presa.
    Il punto è che ho riconosciuto l’unica che non mi piace. Iniziai a leggere il libro e non l’ho mai finito perché mi annoiavo. 😦

  8. Grilloz

    Ok, sono in ritardo e il gioco l’ho fatto solo a mente, però l’unico su cui avrei messo la mano sul fuoco che fosse italiano è proprio Dick. Mmmh. O Dick in realtà è un italiano sotto pseudonimo, o forse tendiamo ad essere troppo patriottici (o pieni di stereotipi) e riconosciamo come italiana una prosa più raffinata, mentre consideriamo automaticamente come americana una prosa semplice e fatta di frasi brevi.

    • Non sei affatto in ritardo. Anzi, un commento a un post del passato – e in questo blog settimana scorsa vuol dire ere geologiche fa – è anche più gradito di un altro all’ultimo post pubblicato. Perciò tutte le discussioni sono aperte, fin dalla primissima di questo blog.

      Sì, gli stereotipi esistono, purtroppo, ma spero non in questa discussione. Il problema non è considerare automaticamente come straniera o no una prosa semplice e con frasi brevi. Tanti romanzieri italiani scrivono in modo semplice e con frasi brevi, per fortuna. Mi sembra che la letteratura italiana vada proprio in questa direzione: semplificazione, brevità, tempi verbali semplici. Il problema è se continuando a formarci soprattutto su scrittori americani, poi siamo ancora capaci di scrivere un dialogo tra due giovani dei quartieri popolari di Torino, della Roma bene dei Parioli, o di Spaccanapoli. Perché poi rischiamo di fare dire a tutti ok, o peggio, va bene. Scialla! 🙂

      • Grilloz

        In questo penso che sia peggio la televisione, perché sta uniformando piano piano proprio il modo di parlare che si usa tutti i giorni e di conseguenza anche il modo in cui verrà reso nei dialoghi.
        Se poi si vuole fare un discorso sulla formazione dello scrittore allora sono d’accordo che la lettura dei classici italiani sia essenziale. A uno scrittore emergente che mi chiedesse: io voglio scrivere fantasy, ho già Tolkien, cos’altro mi consiglieresti di leggere per migliorare? Risponderei senz’altro Calvino e Pirandello 😀

      • Quello che dici è proprio il senso di questa serie di post. Formarsi sugli italiani, che di sicuro nella letteratura di genere non sono ai primi posti, aiuta a scrivere un fantasy di qualità migliore, più vicino allo standard degli anglosassoni. Paradossalmente per essere all’altezza di Tolkien nel fantasy bisognerebbe cercare di essere all’altezza di un Calvino nella scrittura.

      • Grilloz

        Poi, se vogliamo, Calvino sarebbe un autore Fantasy, no? 😛
        A parte gli scherzi il concetto è che qualunque cosa si scriva lo stile lo impari dai migliori 😛

      • Mi viene in mente Manzoni, che da Scott apprende il romanzo storico. Ma lo racconta nella nostra lingua. L’ho anche scritto ere geologiche fa, appunto.

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